La sindrome di Charlie Brown e l’Export delle PMI
Partiamo da Charlie Brown, simpatico compagno di letture della mia infanzia. Per me che sono, anagraficamente parlando, uno degli ultimi Baby Boomers, Charlie Brown era un compagno che affrontava il mondo con tutte le sue difficoltà, a misura di bambino, ponendosi innumerevoli domande. Era facile ritrovarsi nei sui problemi.
Cos’è la Sindrome di Charlie Brown?
E’ quel complesso di insicurezze e domande esistenziali, che caratterizzano Charlie Brown. il celebre personaggio dei Peanuts, le striscie di fumetti creati da Charles Schultz tra il 1950 e 1990, simbolo e compagni per generazioni di giovani.
Un po' il simbolo di una condizione di rassegnazione agli aventi sfavorevoli, di rinuncia alle reazioni di difesa e quasi al compiacimento per la propria condizione.
Cosa c’entra la Sindrome di Charlie Brown con l’export?
Per Charlie Brown tutto quanto era nuovo e sconosciuto era causa di domande, di paure, di mille pensieri. Le domande lo aiutavano a comprendere un mondo difficile.
Uno dei pensieri ricorrenti di Charlie Brown? La ragazzina con i capelli rossi, di cui si era innamorato, ma che non lo notava.
Mi piace, vorrei uscire con lei, essere brillante, potermi fare notare, farla sorridere. Invece di non essere visto e notato. Come farmi notare ?
Il problema di molti imprenditori di PMI?
Vorrei esportare. Vorrei che Buyers e clienti esteri mi vedessero, mi notassero, provassero i miei prodotti, “sorridendo” all’idea di portarli nei loro mercati. Come far loro sapere che ci sono e farmi notare?
Ecco cosa accomuna questo mondi così distanti. La necessità di potersi far notare e trovare, avere adeguate attenzioni, un sorriso o un contatto da chi ci interessa, sentimentalmente o professionalmente.
A volte l’imprenditore si accorge delle potenzialità della sua azienda per un contatto dall'estero, diretto e occasionale, senza aver creato una strategia export aziendale.Ad esempio, partecipando a fiere di settore, qualche straniero vede i prodotti e mostra interesse. Oppure viene rifatto il sito web e arrivano richieste di informazioni. Oppure si realizza il negozio online e alcuni ordini arrivano dall’estero.
Da qui la necessità di gestire la richiesta, reale e concreta. Pensando poi come rendere l’offerta sull’estero un canale di vendita reale, che pesi all’interno dell’azienda.
Con le relative domande:
- I miei prodotti sono adatti all’export?
- Come seguo le trattative con l’export?
- Come faccio a tenere i contatti con chi parla una lingua che conosco poco e non è usata in azienda?
- Come fare un’offerta di distribuzione estero adeguata?
- Come preparare un listino estero ?
- Devo assumere un export manager?
- Un’azione sui mercati esteri mi garantisce risultati?
- Rischio di spendere soldi senza un ritorno certo?
- Se non mi pagano?
- Qualcuno potrebbe copiare i miei prodotti?
Tutte domande legittime.
Poiché mi piace andare per analogie sportive, posso dire che esportare è un po' come giocare un campionato.
Non possiamo pensare di giocare neppure una singola partita e vincere, senza un pizzico di preparazione.
Ma è pur vero, che se non miriamo come primo obiettivo il vincere il campionato di serie A, ma un piccolo trofeo intermedio, possiamo con poco sforzo esserci, farci notare e fare le nostre belle partite.
E nel nostro torneo locale o aziendale, sempre con un pizzico di allenamento, un po' vinceremo, un po' perderemo. Migliorando, giocando sempre meglio e vincendo sempre con più frequenza.
Stesso discorso vale per l’export.
Senza allenamento, ergo studio della concorrenza, del mercato e definizione di un’azione volta all’export, difficile acquisire clienti esteri.
Se ci interessa entrare sul nuovi mercati, senza mire di diventare di colpo il numero uno del settore a livello internazionale, possiamo prepararci, confrontandoci con il mercato, con azioni progressive. Senza traumi e senza enormi risorse da mettere in campo.
Limitando i rischi, come fa la maggior parte di chi esporta e cominciando a mostrare che in campo ci siamo anche noi.
Magari non si vincerà da subito la partita (ergo non si trasformerà in cliente il primo contatto estero con cui ci si confronterà). Ma agendo ed imparando a conoscere il mercato si agirà sempre meglio e se prodotti e offerta saranno ragionevoli, i risultati arriveranno.
Ti lascio infine i link degli articoli precedenti pubblicati su LinkedIn, se vuoi approfondire alcuni argomenti:
- Fare un'offerta Export e acquisire un cliente estero. Cosa c'è nel mezzo?
- Come essere guardati dai buyers esteri… prendete esempio da Belen!
- Fiere di settore: Cosa portiamo a casa?
- Buyers alla ricerca del made-in-Italy. Quali i criteri di selezione? Check-up di auto valutazione.
- La sindrome di Charlie Brown e l'Export delle PMI
- BREXIT – Note sugli errori commessi e scenari possibili
- Perdere anche in assenza di errori: Il caso Nokia
- Social&Gym: Quanto è importante la nostra identità "Social"?
- Export e Digitale – Binomio niente male: Ecco il punto dell'Osservatorio Export del politecnico di Milano
- PMI alla scoperta dell’EXPORT. Spunti per una visibilità sui mercati esteri
- Terzisti alla scoperta dell'Export – falsi miti e reali opportunità
- PMI alla scoperta dell’EXPORT – Chi può beneficiarne?
- Per crescere occorre far squadra e sostenere le nostre eccellenze. Perchè ci risulta tanto arduo? Il caso ADS.
- Perchè Zara vende con successo moda, mentre molti competitors languono?
- Scammer – come evitare di essere raggirati dai truffatori di aziende
- Dalla storia del fondatore del Gruppo Natuzzi qualche riflessione su come innovare ed esportare
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Let's stay tuned!
- Posted by marcop
- Posted in Made-in-Italy
- Dic, 09, 2016
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